Il derby che gli cambiò la vita
Era già un giocatore apprezzato De Vecchi quando entrò nel cuore dei tifosi del Milan definitivamente il 18 marzo del 1979, in un derby con l’Inter. I nerazzurri stanno vincendo 2-0 con i gol di Oriali e Altobelli, poi ecco Walterino, studente in Legge, che, con due gol in nove minuti, annuncia la stella fissando il 2-2 finale. Il compianto Beppe Viola, a Novantesimo minuto, dice: “De Vecchi, avvocato del Diavolo, ha fatto meglio di Perry Mason e vinto una causa persa”.Il rapporto con Liedholm
Allenatore di quel Milan era Nils Liedholm. De Vecchi in un’intervista lo descrisse così: “Un maestro di calcio. Sapeva sdrammatizzare nei momenti di grande tensione, sapeva riprendere e fare tutte le cose giuste. Un maestro. Quando ha vinto lo scudetto, aveva 56 anni e aveva vissuto già tante stagioni. Poi è stato anche un grande giocatore, intelligente: dicevamo sempre che non era un italiano-svedese ma un italiano-svedese-napoletano perchè era sveglio in una maniera incredibile, con la battuta sempre pronta”.Il ricordo di Mazzone
Da un maestro all’altro, da Milano ad Ascoli Piceno: “Ascoli è stata una parentesi bellissima. Allenatore Carlo Mazzone, si è fatta la storia del club: in tre anni abbiamo sempre rischiato di arrivare nelle coppe, facendo grandi campionati. Nella piazza principale della città, c’è ancora il nostro poster con la formazione, e sono passati più di 40 anni”. A Napoli con Maradona le ultime briciole di gloria. Concluse la carriera a 37 anni, nel giugno 1992. Ritiratosi alla fine della stagione 1991-1992, intraprese la carriera di tecnico, guidando le giovanili del Milan. Nella stagione 1994-1995 si tolse la soddisfazione di vincere lo scudetto Allievi Nazionali all’Isola d’Elba; poi guidò fra le altre la SPAL e il Cesena in Serie C1, il Cosenza, il Como e il Venezia in Serie B. De Vecchi fece poi ritorno al Milan nel 2003, guidando diverse compagini giovanili fino a diventare nel 2022 il responsabile della tecnica individuale di tutte le squadre agonistiche delle giovanili del club rossonero.La scoperta di Daniel Maldini
Negli anni milanisti di talenti ne ha visti tanti: l’ultimo che è esploso è Daniel Maldini. A Il Giornale rivelò di un incontro in ascensore rivelatore: «Questo ragazzo, se imparerà a pensare da calciatore, diventerà un fenomeno». A parlare era Walter De Vecchi e il ragazzo era Daniel Maldini, che lui allenava quando aveva 12-13 anni: «Le capacità tecniche c’erano già, s’intuiva che avrebbe potuto farcela. Maldini è stato un tardivo, perché è cresciuto tardi. Adesso gli è venuta la struttura di papà Paolo ma ai tempi era mingherlino. Si è fatto dai 16 anni in poi, però il talento era già quello, ha uno strapotere fisico da grande giocatore. Il suo è un cammino, la convocazione in azzurro è una spinta verso l’alto». Parlando a Virgilio Sport De Vecchi ha rivelato anche altri aneddoti Cosa fa oggi, De Vecchi?“Se me lo aveste chiesto a giugno avrei risposto responsabile del settore giovanile del Milan ma ora non più, faccio il nonno” Ha avuto modo di veder crescere Camarda dunque
“Francesco aveva 8 anni quando lo prendemmo dalla Porese e già segnava caterve di gol, si vedeva che era diverso rispetto a quelli della sua età ma anche rispetto a quelli più grandi. Ha un talento naturale cui deve abbinare ora il lavoro, mi aspetto che diventi titolare nel Milan ma di giovani bravi ne abbiamo tanti, penso anche a Zeroli, aspettiamoli” Che ricordi ha di Maradona nel suo anno napoletano? “Era il Napoli della rifondazione, il primo anno di Maradona. C’era un grande progetto, forse arrivai con qualche anno di ritardo, in quanto avevo 31 anni ma con la massima voglia di fare bene. Non fu per me una grande annata, ci fu un momento di passaggio da centrocampista a difensore, cosa che mi ha consentito di arrivare fino a 37 anni prima di smettere. Ma Diego era Diego. Dirlo a parole è riduttivo, bisogna averle vissute quelle giornate, quelle partitine, quelle giocate incredibili. Lui era il calcio, tutto quello che si dice è vero: chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare, allenarsi con lui almeno una volta, deve ritenersi privilegiato. E’ stato il più grande di tutti i tempi. Aneddoti? In preparazione, i primi giorni, aveva ancora dei postumi per la caviglia operata dopo l’intervento di Goikoetxea, faceva sempre una ginnastica riabilitativa, ma la gente lo chiamava sempre e lui salutava palleggiando per tutto il campo. Lo faceva in ogni modo, da seduto anche: diventò un rito, lo faceva tutti i giorni. Dei numeri davvero incredibili: tutti noi calciatori ci mettevamo in cerchio a guardarlo, rimanendo allibiti. La gente impazziva”.