“La barca a mare ancora la butti?”. Nell’ascensore dell’allora San Paolo Mimmo Carratelli, storica penna del Guerin Sportivo che oggi ha 90 anni, incontrò in un’occasione di un’amichevole internazionale di lusso oltre 25 anni fa Gianni De Felice, morto oggi a 88 anni, e per prima cosa gli chiese del mare e della barca, due delle grandi passioni di De Felice, un gigante del giornalismo che è scomparso oggi lasciando la moglie Maria e il figlio Antonio.

Da Minà a Tommasi, quanti lutti nel giornalismo La carriera di De Felice

Da Minà a Tommasi, quanti lutti nel giornalismo

Un altro lutto va a colpire dunque il mondo del giornalismo, che nel giro di qualche anno ha perso Gianni Minà, Gian Paolo Ormezzano e Rino Tommasi. Era amico di tutti e tre, De Felice. A Minà presentò la prima moglie, Georgina Magallanes, una deliziosa figlia di emigrati cubani, che faceva la hostess ai mondiali del 1970. Con Gian Paolo Ormezzano, un fenomeno scoperto e lanciato da Antonio Ghirelli, condivise il tempo del praticantato a Tuttosport: “Gli invidiavo la facilità di scrittura: era velocissimo, mai un pentimento, mai una cancellatura – ricordava De Felice – Quando io cominciavo a scrivere, lui aveva già finito il suo pezzo. Era brillante in tutto: anche negli scherzi. Ne aveva fatti di memorabili al malcapitato quanto talentuoso sicilianuzzo di redazione, Vladimiro Caminiti. L’agonia e la morte di Fausto Coppi lo rivelarono come un inviato di grandissima classe: aveva poco più di vent’anni”.

Di Rino Tommasi era rapito: “Il superdirettore Gino Palumbo ed io che ne ero il vice tentammo di portarlo stabilmente alla Gazzetta dello Sport, della quale era già collaboratore.. Era l’estate del 1980 e Berlusconi lanciava Canale Cinque, senza badare a spese. Rino preferì, ovviamente, la megaofferta del Biscione. Ma la sua visione, forse troppo avanzata, della cultura sportiva gli fece un pessimo scherzo. La montagna di dollari investita per ingaggiare Dan Peterson e soprattutto per assicurarsi i diritti del campionato di basket americano NBA non portarono a Canale Cinque la sperata valanga di pubblicità e Tommasi perse lo scettro. In fondo, fu la sua fortuna perché, liberato dai vincoli e dagli impegni di organizzazione redazionale, Rino sfruttò molto meglio il suo prestigio, la sua notorietà, la sua competenza nel pugilato. nel tennis, nell’atletica e divenne il gigante che ricordiamo”.

La carriera di De Felice

Per oltre mezzo secolo, De Felice – napoletano doc trapiantato a Milano al seguito del suo mentore Gino Palumbo – ha raccontato le vicende sportive e non solo del nostro Paese, firmando articoli memorabili prima per il Mattino poi sulle colonne del Corriere della Sera, dove è stato uno storico inviato dello sport. Ha ricoperto anche il ruolo di condirettore della Gazzetta dello Sport. Successivamente, dopo aver ricoperto cariche nella Federcalcio ha concluso la sua carriera giornalistica al quotidiano del pomeriggio “La Notte” di Milano come caporedattore allo sport e poi inviato speciale. Alla chiusura de La Notte De Felice è stato consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Ha scritto anche il libro “Il Corsera sconosciuto”. Raccontava gli eventi ma cercava soprattutto storie De Felice. La pipa come inseparabile amica, il sorriso sempre sulle labbra.

Per far capire il rigore morale della persona basti ricordare quanto scrisse sul Papa: “Qualche anno fa, andammo col Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti in udienza dal Papa. Al momento delle foto-ricordo mi rifiutai di affollarmi intorno a Sua Santità per farmi un sefie con lui. Mi sembrò una mancanza di rispetto. Stimavo moltissimo quel grande Uomo”.

Tra gli altri giornalisti che soleva frequentare c’era anche Bruno Pizzul, di cui – alla morte – disse: “Quando avevo casa a Lignano Pineta, frequentavo molto il Friuli e d’estate salivo spesso a Cormons (cor montium, cuore dei monti) dove avevo amici, fra i quali Bruno Pizzul. Un giorno, parlando della prima guerra mondiale, Bruno mi raccontò: “Mia nonna era abituata a vedere nella garitta della piazza di Cormons il poliziotto austriaco e in cima all’asta la bandiera dell’impero austro-ungarico. Un giorno del novembre 1918 si svegliò e nella garitta trovò un soldatino del regno d’Italia e in cima all’asta sventolava il tricolore con lo stemma sabaudo. Ma mia nonna, che parlava in tedesco-furlan con il poliziotto austriaco, non riusciva a capirsi col soldatino italiano: era sardo”. Poche parole, l’Unità d’Italia spiegata da un maestro di sintesi: il caro indimenticabile Bruno Pizzul”.