Nuovo caso Imane Khelif alle Olimpiadi, ma l’epilogo non è lo stesso visto nell’incontro tra l’atleta algerina e l’azzurra Angela Carini. L’uzbeka Sitora Turdibekova, infatti, sul ring con la taiwanese intersex Lin Yu-Ting ha scelto di rimanerci fino all’ultimo secondo, incassando e provando a ribattere, senza evitare la sconfitta, ma onorando fino in fondo l’incontro. Ripercorriamo la storia di questo incontro e perché, come quello della Carini, non deve restare solo un match di pugilato da ricordare per le polemiche.

Lin Yu-Ting, l’altra Imane Khelif di Parigi 2024 La decisione della Carini Le similitudini e le differenze con Turdibekova Lin Yu-Ting, il ring per prendersi una vita Due incontri per crescere, due occasioni da non sprecare

Lin Yu-Ting, l’altra Imane Khelif di Parigi 2024

Lin Yu-Ting supera con verdetto unanime ai punti l’uzbeka Sitora Turdibekova nel suo incontro inaugurale di Parigi 2024 e si prende l’accesso ai quarti di finale del pugilato femminile. Un successo senza storia, con l’atleta di Taiwan testa di serie numero uno e indiziata all’oro nella categoria 57 kg, nonché due volte campionessa del mondo (l’ultima nel 2022 contro Irma Testa) a non lasciare spazio alla rivale.

Perché ne scriviamo? Semplice (magari lo fosse per davvero), perché Lin Yu-Ting è l’altra Imane Khelif di Parigi 2024: un’altra atleta intersex finita nel polverone per il suo essere (per natura) troppo “mascolina”. Una condizione che, come per l’algerina, ha spinto l’AIBA, l’associazione mondiale della boxe, a negarle la possibilità di gareggiare ai Mondiali 2023: troppo elevati i livelli di testosterone rivelati dai test di idoneità. Il CIO, però, non la pensa allo stesso modo e ammette le due atlete ai Giochi.

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La decisione della Carini

Il resto è cronaca. Da giorni non si fa altro che commentare la presenza di Imane Khelif ai Giochi di Parigi 2024. Ci si interroga, si discute, ci si arrabbia e ci si indigna, ci si informa (poco) e si parla (tanto) su un caso cresciuto con il passare delle ore e che ha raggiunto l’apice appena 46” dopo il gong che ha dato il via alla sfida tra l’algerina e Angela Carini.

Troppo forte quel pugno ricevuto in pieno volto per proseguire l’incontro. Angela getta la spugna e chiude la porta al sogno olimpico. Troppo pesante, probabilmente, il fardello che le polemiche e le chiacchere hanno caricato sulle spalle dell’azzurra, che scoppia in lacrime, si inginocchia a centro ring e, rivolgendosi al suo angolo grida un “non è giusto” carico di ogni sentimento possibile e immaginabile, che racchiude inevitabilmente la rabbia e la delusione, ben rappresentate dal rifiuto a stringere la mano all’avversaria dopo la doloroso e inevitabile conferma della sconfitta. Della fine del sogno.

Le similitudini e le differenze con Turdibekova

Come l’azzurra, anche la Turdibekova si rifiuta di stringere la mano a Lin Yu-Ting e si lascia scappare pure qualche lacrima, ma a differenza della Carini, l’uzbeka il proprio incontro ha deciso di affrontarlo fino in fondo, di incassare ogni colpo e di restare a battagliare sul ring della North Paris Arena. Nessun gesto eclatante, eppure anche sulla sua avversaria non sono mancate (e non mancano tutt’ora) le polemiche.

Sitora Turdibekova abbandona il ring al termine dell’incontro perso con Lin Yu Ting

Sitora ha scelto di battersi e di provarci. Lin Yu-Ting, così come Imane Khelif, non è certamente salita sul quadrato per fare sconti, anzi, e nei suoi pugni avrà finito per concentrare almeno in parte anche la delusione per l’impossibilità di spegnere polemiche che non possono non fare male, non possono non segnare profondamente l’animo e ferire due giovani ragazze (Lin ha 28 anni, Imane 25) che vorrebbero solo vivere il proprio sogno a cinque cerchi, come giusto che sia, come sancito da un comitato messo lì per prendere decisioni giuste e in linea con i valori dello sport.

Lin Yu-Ting, il ring per prendersi una vita

Lin Yu-Ting e Imane Khelif sono su un ring a Parigi a tirare di boxe contro altre donne perché, oltre ai meriti sportivi, sono perfettamente in regola, “a norma” e “abilitate” a credere nel proprio sogno. Un sogno che, nel caso dell’atleta taiwanese, come in quello dell’algerina, parte dalla lontano e che ha alle spalle una storia di sofferenza, resilienza e rinascita, con la necessità di imparare a tirare di boxe per difendere se stessa e la madre da un padre violento.

Dall’ombra di quell’uomo, tale solo nelle genetica, come rivelato dall’allenatore, Zeng Ziqiang, Lin è riuscita a togliersi e a prendersi una vita, da affrontare un pugno alla volta, con le mani fasciate nei guantoni e il corpo pronto a incassare e a ribattere. Ecco, dietro ogni colpo, dietro ogni gesto, e dietro ogni parola si cela una storia, una vita, la possibilità di renderla migliore o di affossarla. A Parigi, Lin e Imane hanno vinto con merito il loro incontro e lo hanno fatto esclusivamente per se stesse.

Due incontri per crescere, due occasioni da non sprecare

Il prossimo passo spetta alla società e all’opinione pubblica, ai comitati e alle associazioni dello sport, chiamati ognuno per le proprie ragioni e competenze a non fare cadere questa delicata storia nel dimenticatoio, rimandandola al prossimo caso che, inevitabilmente, poterà qualcuno a gettare la spugna troppo presto, qualcun altro a sentirsi inadeguato e fuori luogo, arrecando dolore e togliendo un ulteriore pezzettino di valori allo sport.

Occorrerà muoversi con coscienza e reale voglia di arrivare a una soluzione che, alla fine di tutto, cancelli le polemiche e le strumentalizzazioni, permettendo di riportare al centro lo sport, alleggerendo ogni pugno, sguardo, colpo e decisione che ogni atleta sceglie di compiere su un ring e, soprattutto, nella normalità.